
L’emergenza ci ha colti impreparati e illusi: non eravamo pronti a confinare nelle nostre case tutte le nostre attività – lavoro e scuola compresi – o addirittura a farne cessare altre e ci illudevamo di essere immuni ad un virus asiatico. Dell’altra parte del mondo. E che invece è arrivato proprio qui, proprio tra noi.
In un certo senso, eravamo illusi di essere immuni.
Rifugiati tra le nostre quattro mura, per evitare la paralisi totale, laddove si è potuto sono state riprese le attività ma online.
Il fatto è che gli strumenti digitali non sono la trasposizione delle pratiche dal vivo ma la messa in pratica di nuove competenze e nuovi approcci. E questa è una delle motivazioni per cui no, la didattica a distanza non funziona.
Un altro motivo per cui la didattica a distanza è mal sopportata è che fatta in questo modo vuol dire rendere i genitori, già presi se va bene dal proprio lavorare da casa, responsabili anche e per tutto il tempo dei proprio figli, delle loro attività durante tutto il giorno.
Senza contare i livelli differenti di alfabetizzazione digitale e il dislivello che purtroppo ancora sussiste tra chi dispone degli strumenti adatti, come connessione e computer, e chi no.
La scuola digitale è un’altra cosa.
La scuola digitale utilizza le tecnologie come strumento attraverso cui trasmettere un nuovo modo di imparare facendo piuttosto che ascoltando, non più lezioni frontali ma interattive. Favorire pensiero critico, flessibilità e problem solving, competenze trasversali: imparare facendo e fare attraverso le tecnologie.
I nuovi device quindi sono strumenti abilitanti attraverso cui imparare – non il fine dell’apprendimento.
La scuola digitale è interattiva e sociale, non confina alunni e docenti dietro dei computer.
Si chiama blended learning: è possibile riuscire personalizzare in base alle specificità del singolo e al contempo riuscire a gestire classi intere.
Le “flipped classroom” per esempio prevedono il capovolgimento della strutturazione classica: la lezione è il compito a casa e a scuola si fanno attività e laboratori, pratici ed esperienziali dove possano sperimentare quello che imparano da testi o video: a casa si studia il libro, a scuola lo si crea con gli altri.
Un esempio virtuoso, una case study nostrana, è rappresentata dall’Istituto Comprensivo Ungaretti di Melzo, comune in provincia di Milano, patrocinato dalla Apple, che sostiene il progetto assieme ad altre (per dare un’idea, sono solo 20 in tutta Europa).
Motivazione, preparazione, curiosità: i docenti sono al centro del progetto; docenti che hanno aderito volontariamente, supportati da un sistema di formazione e dalla voglia di trasformazione.
Quella che abbiamo visto nelle nostre case in questi mesi non è scuola digitale, è didattica a distanza improvvisata: docenti che si sono dovuti arrangiare dovendo imparare all’improvviso, ragazzini piazzati per ore davanti a un pc/tablet, incertezza su cosa fare e come farlo.
Puoi trovare anche altri contenuti nella mia rubrica di Psicologia Digitale su Stateofmind.it.
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