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Digitalizzazione: l’uomo al centro del cambiamento

Emergenza sanitaria e lockdown hanno dato una spinta senza precedenti alla digitalizzazione in molti campi: dalla telemedicina, alla scuola, allo smartworking. 

Digitalizzazione, innovazione, integrazione: la trasformazione digitale passa anche e soprattutto dal considerare l’uomo protagonista assoluto di questi cambiamenti.

L’umanesimo digitale, l’uomo al centro delle innovazioni tecnologiche

La scorsa settimana si è tenuto l’Innovation Summit 2020 di Deloitte (qui il video integrale dell’evento), appuntamento annuale giunto quest’anno alla sua quarta edizione, in cui la società di consulenza tira le somme sulla trasformazione digitale.

Il ricorso ad alto impatto alla digitalizzazione in risposta all’emergenza ha avuto esiti e sviluppi diversi: se nel campo della didattica più che di innovazione potremmo parlare di ripiego (dalla DAD ci si aspettava qualcosa di più), in altri è stata il trampolino di lancio per nuovi strumenti (come l’app di contact tracing Immuni).

Tra i dati più interessanti della ricerca di Deloitte, infatti, c’è una generale insoddisfazione per alcuni aspetti infrastrutturali che depotenziano gli strumenti digitali: mancanza di connessione adeguata ai bisogni e scarsa accessibilità a servizi sono tra le lamentele più riportate dai rispondenti.

Colpisce però l’attenzione riservata ad un aspetto in particolare: i bisogni emotivi a cui proprio la digitalizzazione ha dato voce.

Infatti, è grazie alla tecnologia che siamo riusciti a rimanere in contatto con i nostri affetti durante il periodo delle restrizioni più dure.

Anche se per un terzo degli intervistati il processo di digitalizzazione non considera sufficientemente l’aspetto umano.

E’ per questo che parlano di rivoluzione antropocentrica, l’umanesimo digitale: innovazione e tecnologia non possono fare a meno di considerare i reali bisogni delle persone. Reali, veri, quotidiani.

Verso una nuova digitalizzazione: integrare fisico e digitale

Al centro l’uomo. Lo si sente dire spesso, si mette in pratica poco, parzialmente.

Che siamo sempre connessi lo sappiamo, ce lo dicono anche i numeri nel caso ci fosse bisogno di un’ulteriore conferma.

Ma un conto è usare gli strumenti digitali, un altro è integrarli nelle nostre pratiche quotidiane.

Quella a cui abbiamo assistito è stata una grande e frettolosa ‘corsa agli armamenti’, un’adozione massiva di strumenti digitali e tecnologie che nell’emergenza sono state necessariamente un sostituto del loro corrispettivo analogico.

Non si può uscire con gli amici? Facciamo un aperitivo su Meet.

Non possiamo andare a scuola? Facciamo lezione su Zoom.

Quello che vedremo nel futuro prossimo sarà un modello ibrido, in cui lentamente – ma inesorabilmente – andremo ad integrare la tecnologia nel nostro quotidiano.

La telemedicina, la scuola digitale (pensiamo al blended learning e a come invece la didattica a distanza si sta muovendo oggi, tra molte polemiche e insoddisfazioni), il nostro modo di lavorare.

Che cosa vuol dire realmente integrazione digitale?

E’ in buona parte qualcosa sotto i nostri occhi. Tra le nostre mani: quando siamo fuori e non sappiamo esattamente come arrivare in un posto, usiamo Maps; quando chiediamo ad uno smart speaker di dirci che tempo fa oggi a Milano; quando utilizziamo Whatsapp per farci dare indicazioni dal medico. E gli esempi potrebbero essere tanti.

Quello che va considerato è non pensare alla tecnologia come a qualcosa di separato dalla nostra quotidianità, che corre – e corre veloce – su binari paralleli rispetto ai nostri bisogni, desideri, necessità.

Finalmente abbiamo capito, se per caso ce ne fosse ancora bisogno, che la digitalizzazione è necessaria e no, non è una minaccia.

E’ un aiuto, un supporto, uno strumento versatile e incredibilmente utile in una miriade di ambiti: pubblica amministrazione, scuola, lavoro, informazione.

In fondo questo lo sapevamo già, ma vuoi mettere dover abbandonare la cara, vecchia, radicata, credenza che “dal vivo è un’altra cosa”. E certo che è un’altra cosa, peccato che il digitale non sia un sostituto quanto un’aggiunta.

 

… E per gli psicologi?

 

Incredibilmente, e del resto stiamo parlando della prima pandemia da qui a un secolo circa, anche un altro ambito sembra essere uscito dal bozzolo analogico ed essersi aperto alla digitalizzazione: la psicologia. O meglio, gli psicologi.
Gli psicologi psicoterapeuti. Loro, insomma. Ebbene, di portata pari quasi alla scoperta del fuoco, ecco baldanzosi post sponsorizzati su Facebook, webinar su Zoom, colloqui via Skype. Un proliferare di presentazioni, articoli, dibattiti su Covid19 emozioni e stress e lo stare a casa forzatamente. 

Perché è veramente importante essere online (e ancora di più lo sarebbe esserci con regolarità e non solo in ‘occasioni speciali’)?

Perché è online che le persone sono.

Perché anche quando si incontrano dal vivo è lo smartphone che hanno tra le mani.
Perché dovremmo toglierci di dosso i paraocchi e smetterla di leggere gli eventi e le persone solo con le nostre lenti e guardarle anche dal loro punto di vista.

E’ un augurio e, perché no, un invito.

 

Puoi trovare anche altri contenuti nella mia rubrica di Psicologia Digitale su Stateofmind.it.

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Photo by Samantha Borges on Unsplash.

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